La fidelizzazione delle risorse è un tema sempre più sentito dalle aziende. Il turnover, infatti, è un fattore di ostacolo alla produttività e provoca una dispersione di know how, oltre a essere spesso causa dell’appropriazione da parte dei competitor di segreti industriali. Per ottenere questo risultato, però, il datore di lavoro non ha disposizione soltanto i classici fringe benefit. Dalla durata minima garantita del rapporto, all’estensione del preavviso, fino alla formazione in cambio dell’impegno a non recedere: gli altri strumenti per garantire la continuità


La fidelizzazione delle risorse e, in particolare, di quelle che in ambito aziendale ricoprono posizioni dirigenziali o, comunque, strategiche è un tema sempre più sentito dalle aziende che credono che la propria competitività dipenda non solo da fattori tradizionali come la qualità e il prezzo dei beni e servizi commercializzati, ma anche dalla coesione del team di lavoro e dalla soddisfazione dei dipendenti. Il turnover è un fattore di ostacolo alla produttività e provoca una dispersione di know how, oltre a essere spesso causa dell’appropriazione da parte dei competitor di segreti industriali.

La fidelizzazione è una categoria ampia: alcuni strumenti utili a fidelizzare dipendente hanno una natura chiaramente economica. Parliamo dei cosiddetti fringe benefit. È indiscutibile che l’attribuzione di un’auto aziendale, di un’abitazione o la previsione di un piano di stock option hanno in comune l’obiettivo di legare il lavoratore alle sorti dell’impresa. A fianco di questi strumenti ve ne sono, però, altri, probabilmente meno noti, che incidono molto profondamente sulla struttura normativa dell’accordo. È il caso delle clausole di stabilizzazione del rapporto di lavoro.

Ma si può limitare la facoltà del dipendente di dimettersi?
La stabilizzazione è un concetto che può avere varie declinazioni. In linea di massima, però, il trait d’union delle diverse forme è la previsione di un impegno da parte del lavoratore a non interrompere il rapporto di lavoro prima di un certo termine. In altre parole, tutte le soluzioni che fra breve vedremo hanno in comune il fatto di correlarsi al tema delle dimissioni.

La limitazione della facoltà di dimettersi a determinate condizioni è legittima (sul tema v. Cass. n. 18376/2009). Non va, infatti, dimenticato che la libertà del lavoratore di interrompere il rapporto va garantita e, quindi, gli strumenti di condizionamento di tale volontà vanno impiegati con misura.
Come detto, le parti (datore e lavoratore) possono raggiungere il medesimo effetto attraverso vie diverse. Qui di seguito, proporremo tre soluzioni.

Estendere il preavviso
Con la prima soluzione, le parti estendono il periodo di preavviso in caso di estinzione del rapporto a iniziativa del lavoratore. In casi come questo, le parti prolungano il termine previsto in CCNL. L’impegno viene assunto di regola in via unilaterale (dal solo lavoratore) ma può anche accadere che sia assunto in via bilaterale (con lo stesso obbligo anche da parte del datore di lavoro). L’accordo è a titolo oneroso (il prolungamento del termine va pagato e il compenso non deve essere simbolico, v. Cass. 14457/2017) e, di massima, si prevede una penale per l’inadempimento.

La durata minima garantita del rapporto
Con la seconda soluzione, le parti prevedono un impegno diverso, più incisivo, per garantire una durata minima del rapporto. Con queste clausole il lavoratore si impegna a non recedere dal rapporto di lavoro per un periodo di durata variabile (di regola pluriennale) se non a seguito di un inadempimento da parte dell’azienda di gravità tale da costituire giusta causa di recesso (art. 2119 c.c.). L’impegno può essere assunto in via unilaterale (dal solo lavoratore) o anche bilaterale (anche dal datore di lavoro). L’accordo è a titolo oneroso e, di massima, come nel caso precedente, si prevede una penale.

Stabilità contro formazione
Con la terza soluzione, le parti prevedono una clausola che ha come oggetto lo scambio fra una formazione non obbligatoria (si pensi a un costoso master in Uk o negli Usa) e un impegno a non recedere, presidiato da una penale. Lo scambio nei suoi lineamenti classici è il seguente: l’azienda sostiene integralmente o parzialmente tutti gli oneri economici e organizzativi connessi alla specifica formazione preventivando la spesa.
La partecipazione all’esperienza formativa viene favorita dalla disponibilità datoriale a concedere i permessi previsti dal CCNL; a fronte di questo impegno, il lavoratore riconosce che il periodo formativo determina un crescita in termini di competenze e know how che - senza il beneficio garantito dall’azienda - non avrebbe potuto ottenere e si impegna a non recedere prima di un certo termine, di regola, pluriennale. L’accordo prevede immancabilmente una penale che si somma all’obbligo di rifondere la spesa sostenuta dal datore in caso di inadempimento.

Ridurre il rischio
Investire sulla formazione delle risorse costa e spesso è una scommessa. Clausole come quelle di cui abbiamo parlato servono a rendere la scommessa meno rischiosa, tanto più che di regola il rischio più grande è che il lavoratore strategico metta a frutto talenti e competenze maturate presso l’azienda cambiando poi “casacca”.
Fondamentale, dunque, l’assistenza di professionisti (legali e consulenti del lavoro) che sappiano ritagliare soluzioni tailor made tarate sulle specificità dell’azienda e delle risorse da fidelizzare.

di Nicola Spadafora e Lorenzo Maratea, Tonucci & Partners


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