Oggi tutti usiamo gli sms, le e-mail e le chat come Whatsapp o Messenger per inviare messaggi, anche di carattere lavorativo. Bisogna però stare attenti: non sempre infatti questi strumenti garantiscono comunicazioni giuridicamente valide ed efficaci. E in più, in caso di un’eventuale vertenza, ciò che si è scritto potrebbe assumere valore di prova

L’oramai imprescindibile utilizzo degli smartphone ha reso sempre più radicata l’abitudine di comunicare tramite sistemi elettronici alternativi, quali ad esempio e-mail o sms (“short message service”) oppure mediante apposite applicazioni come Whatsapp o Messenger. E usiamo queste tipologie di comunicazione per dare corso non solo alle nostre relazioni personali, ma anche a quelle di carattere lavorativo e professionale. In questo secondo caso è indispensabile fare due considerazioni

Ma queste comunicazioni sono giuridicamente valide?

La prima riguarda la validità dell’sms e dell’e-mail dal punto di vista formale. Non sempre, infatti, l’oggettiva praticità e rapidità che questi strumenti garantiscono all’utente fa il paio con la loro capacità di garantire comunicazioni giuridicamente valide ed efficaci.

Per essere chiari, è sufficiente fare un esempio: non è raro imbattersi in giurisprudenza del lavoro in casi di licenziamento intimato via sms. La casistica, sviluppatasi, in particolare, su casi di licenziamento intimati presso piccole imprese, cresce e la giurisprudenza di merito, dopo forti resistenze (v. Trib. Monza, 10 giugno 2013), ha assunto negli anni un atteggiamento possibilista, giungendo a equiparare l’atto smaterializzato all’atto “scritto su carta” (da ultimo, Corte d’Appello Firenze n. 629 del 5 luglio 2016; più risalente, ma egualmente interessante, Trib. Torino 20 maggio 2010 n. 2114). È evidente però che per l’intimazione di un atto così importante è preferibile restare fedeli alla vecchia raccomandata A/R che è senza dubbio più coerente con il dettato dell’art. 2 della Legge n. 604/1966.

Attenzione a ciò che si scrive!

La seconda considerazione è, invece, collegata al contenuto dei messaggi. Occorre, infatti, fare molta attenzione a quanto scriviamo, soprattutto per i risvolti pratici legati al valore che le dichiarazioni rese attraverso i citati strumenti potrebbero assumere in sede di eventuale, successiva vertenza. Sotto il profilo giuridico, appare, quindi, utile valutare il valore di prova, in sede di contenzioso, del contenuto dei messaggi trasmessi attraverso sms o posta elettronica ordinaria.

Sul punto, la Corte di Cassazione si è di recente (con sentenza n. 19155/2019 del 17 luglio u.s.) pronunciata ribadendo un proprio indirizzo, anch’esso recentemente espresso (si v. sentenza n. 51 41 del 21 febbraio 2019).

In particolare, da ultimo, la Cassazione si è pronunciata sul ricorso di un padre separato che, impegnatosi via sms a far fronte a parte delle spese scolastiche del figlio, lamentava il mancato valore di prova di quanto espresso attraverso lo smartphone.

Anche se in sede di giudizio di primo grado le ragioni del padre furono accolte (a danno del diritto della madre alla compartecipazione del padre al versamento delle spese), già in sede di appello tale indirizzo è stato superato poiché, riconosciuto il valore di prova ai messaggi intercorsi tra coniugi via telefono, dagli sms è emersa chiaramente la volontà del genitore di accollarsi la quota parte delle citate spese. Messaggi che, peraltro, il padre non aveva contestato quanto né a provenienza né a contenuto.

Rivoltosi, quindi, alla Cassazione, il genitore ha lamentato al giudice di appello di aver riconosciuto efficacia di prova, al pari di una scrittura privata, ai (tre) messaggi telefonici riprodotti meccanicamente dalla moglie, seppur privi sia della sottoscrizione che dei numeri di recapito cellulare tanto del mittente quanto del destinatario degli stessi.

Il valore di prova è lo stesso delle scritture private

La Cassazione si è, tuttavia, espressa nel senso di ritenere che gli sms (così come le e-mail ordinarie) abbiano lo stesso valore di prova che la legge attribuisce alle scritture private.

È stato, infatti, osservato che “lo short message service (“SMS”) contiene la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti ed è riconducibile nell’ambito dell’art. 2712 c.c., con la conseguenza che forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la conformità ai fatti o alle cose medesime. Tuttavia, l’eventuale disconoscimento di tale conformità non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata previsto dall’art. 215 c.p.c., comma 2, poiché, mentre, nel secondo caso, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere utilizzata, nel primo non può escludersi che il giudice possa accertare la rispondenza all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni”.

Come osservato, il principio dell’efficacia probatoria applicato agli sms è esteso anche alle e-mail ordinarie.

Difatti, un documento elettronico, anche se privo di firma certificata, è, comunque, riconducibile nell’alveo dei mezzi di prova previsti e disciplinati dalla legge.

Sul punto, sempre la Cassazione, ancora di recente (si v. la sentenza n. 11606 del 14 maggio 2018), ha statuito che “il messaggio di posta elettronica (cd. e-mail) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime.”

Qualche consiglio

Questo ultimo passaggio della sentenza offre lo spunto per almeno un paio di considerazioni pratiche e qualche consiglio per non cadere nelle trappole della digital society.

Il primo suggerimento è indirizzato alle parti private e, al tempo stesso, ai loro legali e ha come oggetto la necessità di fare attenzione e di procedere (quando necessario) al disconoscimento.

I casi qui trattati indicano tutti la necessità per la parte che si veda opposta una prova costituita da un sms o da una e-mail di formulare il disconoscimento nelle forme rituali. Il disconoscimento deve essere puntuale, non generico e tempestivo.

Non si può non notare e veniamo, così, alla seconda considerazione pratica, che il problema del valore probatorio di queste nuove prove è risolto affidando ai giudici civili un ampio potere discrezionale.

Di tale potere è, per esempio, traccia nel testo dell’art. 20 comma 1 bis del d.lgs. 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale) che in rapporto al “documento informatico” affida al Giudice un potere di “libera valutazione” che, se malamente esercitato, può dare luogo a decisioni errate e, talora, disastrose per il privato soccombente in giudizio.

Cosa fare? Se è vero che “prevenire è meglio che curare” è un motto valido anche in ambito giuridico, si consiglia di dosare a monte le comunicazioni via e-mail ed sms.   

Alla stregua dei citati indirizzi della giurisprudenza, si consiglia, dunque, di prestare la massima attenzione alla messaggistica, se si vuole realmente evitare di essere esposti alle conseguenze talora nefaste di quanto si scrive, assai spesso velocemente, attraverso gli smartphone… difatti con l’ulteriore effetto che…anche un sms può costare molto caro!

 

di Nicola Spadafora, Avvocato, Tonucci & Partners Studio Legale e Tributario

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