L’emergenza Covid-19 ha messo quasi tutti gli esercizi commerciali nell’impossibilità di poter svolgere la propria attività, con inevitabili ripercussioni economiche. Il Codice civile, però, riconosce agli affittuari in difficoltà, soprattutto di liquidità, alcune soluzioni. Tra queste, il diritto di recesso per gravi motivi, la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, l’eccezione della temporanea impossibilità della prestazione e, infine, la rinegoziazione, anche solo temporanea, dei termini economici del contratto di locazione 

Nello scenario attuale, caratterizzato dall’emergenza Coronavirus (Covid-19), si sono susseguiti, a partire dal 23 febbraio 2020, provvedimenti urgenti in materia di contenimento e gestione della diffusione del contagio.

Dapprima è stato emanato il DPCM del 23 febbraio 2020 rivolto ai Comuni della cosiddetta “zona rossa”, allora limitata ad alcune aree della Lombardia; successivamente, il DPCM del 24 febbraio 2020 ha esteso il campo applicativo del precedente provvedimento; poi, ancora, il DPCM del 1° marzo 2020, seguito dal DPCM del 4 marzo 2020 e dal DPCM dell’8 marzo 2020, in un crescendo di limitazioni, hanno pesantemente inciso sulle libertà di movimento, sull’esercizio di numerose attività e sulla fornitura di importanti servizi ai cittadini.

Infine, con il DPCM dell’11 marzo 2020, il Governo ha inserito ulteriori misure drasticamente restrittive, imponendo, tra l’altro, la chiusura delle attività commerciali non essenziali.

Questi provvedimenti hanno determinato una contrazione dei consumi. Di conseguenza, le attività commerciali hanno subito e continuano a subire la riduzione di fatturato e liquidità.

Alla luce anche della precedente delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 – che indica in sei mesi la durata dello stato di emergenza, in conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili –, non è, ad oggi, possibile stimare quanti ulteriori eventuali provvedimenti, forse ancora più restrittivi rispetto a quelli sopra richiamati, saranno assunti entro la fine dell’emergenza.

Gli effetti e le ricadute sulle attività commerciali sono ingenti e spingono le aziende a cercare di limitare i danni riducendo, ove possibile, le voci di spesa. Tra queste, una delle più gravose è certamente la voce “affitti”, che generalmente incide sino al 20% del fatturato dell’impresa.

Vista la gravità della situazione odierna, gli operatori si interrogano in merito alle possibili tutele giuridiche. In particolare, quali siano i margini di trattativa per richiedere la sospensione di efficacia dei vincoli contrattuali in corso con le proprietà locatrici.

Qui di seguito si propone, quindi, una sintetica rappresentazione in materia, ipotizzando alcune soluzioni.

 

Interruzione del rapporto contrattuale

  • Legge 27 luglio 1978 n. 392 - il recesso del conduttore per gravi motivi

L’art. 27, ultimo comma, della Legge 27 luglio 1978 n. 392 prevede, quanto alle locazioni di immobili per uso diverso da quello abitativo, che: “indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto, con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata”.

Pertanto, ai sensi della legge speciale in materia di locazioni, il sopravvenire di gravi motivi legittimerebbe esclusivamente l’esercizio del diritto di recesso.

Sorge, però, una domanda. L’emergenza da coronavirus configura, ai sensi di legge, un “grave motivo” idoneo a legittimare un recesso unilaterale?

Esaminiamo come la dottrina e l’autorità giudiziaria si sono espresse in materia.

La giurisprudenza, in particolare, ritiene che la valutazione della “gravità” dei motivi addotti dal conduttore, che intende esercitare il diritto di recesso, non possa essere soggettiva e arbitraria.

Per potersi avere un legittimo esercizio del diritto di recesso, in altri termini, le ragioni del conduttore devono sostanziarsi in fatti non dipendenti dal conduttore stesso, imprevedibili e sopravvenuti nel corso del rapporto di locazione.

Non solo.

Gli stessi fatti devono essere tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore, sotto il profilo economico, la prosecuzione del rapporto locativo.

Già in passato si è ritenuto “grave motivo” la diminuita capacità produttiva o anche la crisi aziendale o, ancora, la riduzione della struttura aziendale.

Per l’effetto, si ritiene che l’attuale situazione di emergenza 34567 e le particolari politiche intraprese comportino conseguenze che eccedono l’ambito del normale rischio contrattuale. Inoltre, queste circostanze appaiono certamente indipendenti dalla volontà del conduttore e, comunque, non prevedibili dallo stesso: pertanto, sembrerebbero ravvisabili i gravi motivi ex lege contemplati ai fini dell’eventuale recesso dal contratto di locazione, ai sensi e per gli effetti di cui alla Legge 27 luglio 1978 n. 392.

  • Codice civile - la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta

Con riferimento alla generale situazione odierna sembrerebbe, tuttavia, più appropriato richiamare l’istituto della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta.

In effetti, l’impatto dell’emergenza sanitaria conseguente alla diffusione del Covid-19 non rende impossibile l’esecuzione della prestazione contrattuale da parte del conduttore (ovverosia il pagamento del canone) ma la rende più “onerosa”, sproporzionata rispetto agli equilibri economici e contrattuali in essere al momento della sottoscrizione del contratto\123 (ovverosia gli equilibri preesistenti alle preclusioni odierne).

Tale circostanza viene, in particolare, disciplinata all’art. 1467 c.c., a mente del quale:

nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili,  la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione  del contratto, con gli effetti stabiliti dall'articolo 1458 c.c.”.

Anche alla luce della citata previsione normativa, la tutela riconosciuta al conduttore sarebbe la interruzione del rapporto contrattuale.

L’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, per poter determinare, ai sensi dell’art. 1467 c.c., la risoluzione del contratto richiede due requisiti:

  • un intervenuto squilibrio tra le reciproche prestazioni che il conduttore e il locatore devono eseguire, squilibrio non prevedibile al momento della conclusione del contratto;
  • la riconducibilità della eccessiva onerosità a “eventi straordinari ed imprevedibili”, che non rientrano nell’ambito della normale alea contrattuale.

In particolare, il carattere della “straordinarietà” deve essere valutato in modo oggettivo, dovendosi qualificare in base alla frequenza dell’evento, alle dimensioni, all’intensità ecc.; l’“imprevedibilità” ha natura, invece, soggettiva, “facendo riferimento alla fenomenologia della conoscenza”.

Va da sé, dunque, che la domanda di risoluzione di un contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione deve essere corredata dalla rigorosa prova del fatto la cui sopravvenienza abbia “determinato una sostanziale alterazione delle condizioni del negozio originariamente convenuto tra le parti e della riconducibilità di tale alterazione a circostanze assolutamente imprevedibili”.

Per configurare l’eccessiva onerosità sopravvenuta, dunque, è necessario che gli avvenimenti straordinari ed imprevedibili determinino un aggravio patrimoniale che alteri, sostanzialmente, l’originario rapporto di equivalenza, incidendo sul valore di una prestazione rispetto all’altra, ovvero facendo diminuire o cessare l’utilità della controprestazione.

Tutte le condizioni menzionate sembrano presenti nell’attuale emergenza sanitaria. Emergenza straordinaria, certamente imprevedibile e comportante una sostanziale alterazione degli equilibri contrattuali e degli interessi delle parti contrattuali.

 

Prosecuzione del rapporto contrattuale

  • Impossibilità temporanea dell’adempimento e ritardo incolpevole del conduttore nel pagamento dei canoni

Il conduttore potrebbe, tuttavia, non essere interessato a esercitare i citati istituti del diritto di recesso e/o della risoluzione del contratto.

Al fine di garantire la migliore continuità d’impresa, potrebbero, infatti, essere più congeniali alla situazione di temporanea emergenza soluzioni che favoriscano, piuttosto, l’eventuale differimento degli obblighi contrattuali di pagamento sino a quando la situazione emergenziale non venga superata e l’attività commerciale effettivamente ripresa.

In particolare, ai sensi dell’art. 1256 c.c., si dispone che:

l'obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile.

Se l'impossibilità è solo temporanea, il debitore finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell'adempimento”.

Pertanto, alla luce del comma 2 del suddetto articolo, il sopraggiungere di una causa di “forza maggiore” che rende temporaneamente impossibile l’esecuzione del contratto (cioè l’impossibilità di svolgere pienamente la propria attività e la particolare gravosità nel pagare i canoni) giustificherebbe l’eventuale ritardo da parte del conduttore nell’adempimento di propri obblighi contrattuali.

Ne discende che, fintanto che perduri l’emergenza sanitaria, il ritardo nel pagamento dei canoni non dovrebbe configurare responsabilità in capo al conduttore.

Ciò non comporta, però, l’integrale affrancamento dall’obbligo di pagamento dei canoni relativi ai mesi di marzo e aprile 2020.

Il conduttore, tutt’al più, potrebbe posticipare l’esecuzione di tale obbligo ad un momento in cui il fatturato tornerà ad essere soddisfacenti (e, comunque, ad emergenza terminata) senza, però, il timore che il locatore possa risolvere il contratto e/o pretendere gli interessi sui pagamenti dovuti.

  • Rinegoziazione delle condizioni economiche del contratto per sopravvenuta eccessiva onerosità

L’ultimo comma dell’art. 1467 c.c. prevede che qualora sopravvengano eventi che rendano eccessivamente oneroso il contratto sottoscritto e sproporzionatamente gravoso l’adempimento in capo ad uno dei contraenti, le parti possano evitare la risoluzione del contratto modificandone le condizioni (il testo normativo dispone: “la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”).

Secondo questa prospettiva, il locatore potrà essere sollecitato (ma non obbligato) a ricondurre a equità, anche solo temporaneamente, le condizioni economiche al fine di salvaguardare il rapporto locatizio, che altrimenti potrebbe essere risolto su iniziativa della controparte.

Questa previsione si richiama a primari concetti quali quello della buona fede contrattuale e della reciproca cooperazione fra i contraenti, a fronte di sopravvenienze di oggettiva gravità che hanno mutato in modo rilevante gli interessi in gioco e la stessa sostenibilità dei reciproci obblighi.

Spetterà, in altri termini, al locatore acconsentire ad un ridimensionamento degli oneri contrattuali, anche in linea temporanea, per evitare che il conduttore eserciti la legittima facoltà della risoluzione contrattuale.

 

Le soluzioni

Da quanto abbiamo detto emerge che le norme di settore e il Codice civile riconoscono al conduttore, in difficoltà, soprattutto di liquidità, a causa e per gli effetti del coronavirus, alcune soluzioni, quali:

  • il diritto di recesso per gravi motivi;
  • la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta;
  • l’eccezione della temporanea impossibilità della prestazione (forza maggiore);
  • la rinegoziazione, anche solo temporanea, dei termini economici del contratto di locazione.

Sarà la singola realtà aziendale, dunque, a poter scegliere, in base alle proprie caratteristiche e alle prospettive post-emergenza, la modalità di intervento più adatta.

Vista l’obiettiva straordinarietà e imprevedibilità dello stato emergenziale determinato dalla diffusione del virus Covid-19 e nell’ottica della continuità aziendale, appare preferibile che le imprese, lamentando la sopravvenienza di una causa forza maggiore, sollecitino il locatore a rendersi disponibile ad una rinegoziazione del contratto di locazione, anche solo a titolo temporaneo, in alternativa alla risoluzione contrattuale.

In verità, ai sensi e per gli effetti del DPCM dell’11 marzo 2020, la quasi totalità degli esercizi commerciali si trova oggi nell’impossibilità di poter svolgere la propria attività; ciò giustificherebbe soluzioni temporanee ed eccezionali. Solo l’adozione di simili interventi potrebbe, infatti, essere idonea a contenere le ripercussioni economiche originate dalla attuale situazione di emergenza e a promuovere una immediata ripresa al termine della stessa.

 

A cura degli Avv.ti Nicola Spadafora e Attilio Zuccarello, Studio Legale Tonucci & Partners

 

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