Il passaggio di consegne dalla vecchia generazione alla nuova è un momento delicato all’interno delle imprese a conduzione familiare. La legge però ha predisposto un valido strumento per evitare dissidi e garantire la continuità dell’azienda: il patto di famiglia. Ecco di che cosa si tratta


Il passaggio del testimone tra imprenditori di diversa generazione è sempre più sentito in Italia. Secondo uno studio condotto dal Centro di Ricerca sulle Imprese di Famiglia, infatti, il 70% delle aziende nazionali con un fatturato compreso tra 20 e 50 milioni di euro è a matrice familiare. Di queste, il 25% sono guidate da un imprenditore (o da un gruppo di imprenditori) di età superiore ai settant’anni che inevitabilmente dovrà affrontare, entro i prossimi cinque anni, il problema del ricambio.
E può trattarsi, effettivamente, di un problema, perché non tutti i passaggi generazionali avvengono con successo. In particolare, lo studio ha analizzato 34 passaggi, dimostrando che il 12% di questi non è avvenuto, mentre il 17% sarebbe ancora in atto (senza alcuna possibilità, dunque, di predire l’esito di queste operazioni sarà positivo o meno).

Un momento difficile
Ma per quale ragione questi processi sono così complicati, al punto da avere, molte volte, un esito fallimentare? I motivi sono facilmente intuibili in un contesto come quello italiano, caratterizzato in larga misura dal modello dell’impresa familiare in cui i componenti dello stesso nucleo ricoprono tanto le posizioni dirigenziali quanto quelle solo partecipative. Non è difficile, infatti, immaginare che, al momento del passaggio di consegne dalla vecchia generazione alla nuova, potrebbero esserci attriti tra i parenti che partecipano all’impresa a conduzione familiare. Tensioni che, se già c’erano, potrebbero essere acuite dal fatto di dover scegliere a chi affidare la governance, a chi conferire mere partecipazioni agli utili (senza, con ciò, coinvolgerli nella formazione delle decisioni direttive) e chi, da ultimo, andrà estromesso. All’interno di questa cornice, il compito per l’imprenditore è, senz’altro, arduo, dal momento che le decisioni dovranno essere scevre, per quanto possibile, da condizionamenti legati a preferenze verso un parente piuttosto che un altro, al fine di garantire la continuità aziendale e, in ultima battuta, la sopravvivenza stessa dell’impresa.
Si impone, quindi, la necessità di individuare con largo anticipo le soluzioni più idonee ad affrontare queste problematiche, in modo da affrontare il passaggio serenamente, limitando al minimo gli sconvolgimenti.

La soluzione suggerita dal Codice Civile: il patto di famiglia
Una possibile soluzione è indicata proprio dal Codice Civile. Si tratta del “patto di famiglia”, cioè, per utilizzare i termini del Codice, “il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti” (cfr. art. 768 bis c.c.).
È una normativa relativamente recente: è stata infatti stato introdotta nel nostro ordinamento con Legge del 14 febbraio 2006, n. 55, recante, per l’appunto, “Modifiche al codice civile in materia di patto di famiglia”.
Con il patto di famiglia l’imprenditore che si accinge a terminare la propria attività lavorativa (o in previsione di tale evento), concorda con i propri discendenti le modalità di prosecuzione dell’attività, sia se quest’ultima è svolta in forma individuale sia se è svolta in forma societaria (mediante trasferimento, in questo caso, delle partecipazioni societarie), garantendone, dunque, la continuità.

Ecco come funziona
Il patto di famiglia, a pena di nullità, deve essere concluso per atto pubblico, dinnanzi a un notaio ovvero a un altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge allo svolgimento di funzioni notarili.
È necessario, in particolare, che partecipino – oltre all’imprenditore – il coniuge e tutti coloro che potrebbero vantare diritti successori e che gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie liquidino agli altri partecipanti al contratto una somma di denaro o altra prestazione che abbia un valore corrispondente a quello delle quote previste dalla legge per i c “legittimari” (sempre che questi ultimi non rinuncino, in tutto o in parte, a tale diritto).
L’assegnazione in parola, peraltro, può essere disposta anche con un contratto successivo, purché, comunque, sia espressamente collegato al primo e sempre che vi prendano parte i medesimi soggetti che hanno partecipato al primo contratto.
Se, al momento della successione mortis causa dell’imprenditore, risulta che il coniuge e/o altri legittimari non hanno partecipato al patto di famiglia, questi ultimi possono richiedere e ottenere dai beneficiari la liquidazione delle somme che sarebbero spettate loro se avessero preso parte da subito al patto.
Il patto di famiglia, al pari di qualsiasi altro contratto, può essere impugnato se afflitto da vizi del consenso – errore, dolo o violenza – ma, a differenza di quanto previsto dalle regole generali, il termine di prescrizione per l’esercizio della relativa azione è pari ad un anno. Salva tale ipotesi, gli unici altri casi in cui il patto di famiglia può sciogliersi sono la stipulazione di un nuovo e diverso patto di famiglia o il recesso, purché previsto nel contratto stesso ed esercitato mediante dichiarazione agli altri contraenti certificata da un notaio.

Una valida risposta al problema
Da questa sintetica descrizione emerge abbastanza chiaramente come il patto di famiglia possa essere un’ottima risposta al problema del ricambio generazionale. Limitando, infatti, la partecipazione all’attività aziendale ai soli soggetti che ne abbiano le relative capacità all’interno dello specifico contesto familiare, si consente all’impresa di proseguire virtuosamente, senza con ciò incorrere in rischi di rottura o dubbi sulla governance – che, se percepiti anche dall’esterno, potrebbero persino minare la produttività dell’azienda – dato che coloro che vengono esclusi sono destinatari di un corrispettivo che, sostanzialmente, compensa il loro “sacrificio”.
Inoltre, la soluzione del patto di famiglia, diversamente da altri tentativi di accordo tra parenti, è affidabile perché quanto pattuito non sarà oggetto di contestazioni, dato che il contratto viene stipulato davanti a un notaio. Come è noto, qualunque atto necessiti di un’autentica “notarile” richiede un livello di ponderazione rilevante. La presenza del notaio è prescritta principalmente a tale scopo dalla legge (non solo per il patto di famiglia).
Sempre la pubblicità, garantita dalla forma dell’atto pubblico, consente, inoltre, che ci sia totale trasparenza e che, per tale ragione, eventuali attriti familiari siano ridotti al minimo, essendo tutte le parti informate.

Non fatevi provare impreparati!
Affrontare il passaggio generazionale richiede, come si è visto, organizzazione, pianificazione e strategie adeguate, possibilmente predisposte per tempo per non trovarsi impreparati nel momento in cui questa attività non potrà più essere rimandata. Il patto di famiglia può rappresentare un’ottima soluzione. È, quindi, fondamentale l’assistenza di professionisti qualificati che sappiano ritagliare soluzioni tailor made, tarate sulle specificità dell’azienda e del contesto familiare di riferimento.

di Nicola Spadafora, Tonucci & Partners Studio Legale e Tributario

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